venerdì 13 gennaio 2012

Carne della nostra carne


Chissà come se la passa, in queste ore, Danica May Camacho? Mentre leggete queste righe starà forse poppando. E’ nata il 31 ottobre dell’anno scorso, in un ospedale di Manila, capitale delle Filippine. Perché dovrebbe importarvi di Danica? Semplice, lei è stata simbolicamente scelta dalle Nazioni Unite come “seven billionth baby”, la bambina numero sette miliardi. Tanti siamo, ormai, noi bipedi umani su questo pianeta.
Ogni volta che aumentiamo di un altro miliardo, lo spettro di quella buonanima del reverendo Thomas Robert Malthus torna a fare capolino. E con lui la fosca previsione contenuta nel suo “Saggio sul principio della popolazione” (1798), secondo la quale quest’ultima era destinata a crescere molto più rapidamente dei mezzi necessari a sostentarla (per i più pignoli: le bocche sarebbero aumentate in progressione geometrica, gli alimenti in progressione aritmetica).
Anche i primi vagiti di Danica May Camacho hanno risvegliato i profeti di sventura: “Siamo troppi, non ci sarà abbastanza cibo per sfamare tutti”.
La Fao, poche settimane più tardi, ha invece spiegato che anche nel 2050, quando dovremmo essere 9 miliardi e passa (e i demografi dicono che, visti gli attuali tassi di fertilità/mortalità, è probabile che non si andrà oltre, con buona pace di Malthus) si potrà sfamare l’intera umanità. A patto, però, di produrre il 70% in più di cibo, rispetto ad oggi. Per dire, un miliardo di tonnellate l’anno in più di grano, riso e altri cereali e 200 milioni di tonnellate aggiuntive di carne.
Mica facile, se si pensa che, secondo un altro recente rapporto della stessa Fao (1), il 25% della terra coltivabile è “altamente degradata” (erosione dei suoli, scarsità idrica, perdita di biodiversità); un altro 8% è “moderatamente degradata”, il 36% è stabile e solo un 10% è in miglioramento. Se poi pensate che si possa pescare dal mare quel che non si riesce a coltivare sulla terra, sappiate che, secondo uno studio di Boris Worm e altri, pubblicato nel 2006 dalla rivista Science (2), se i ritmi di pesca restassero quelli attuali, il 2048 sarebbe l’anno dell’ultimo pesce, ovvero del collasso di tutti gli stock ittici esistenti (per farvi un’idea dell’ecatombe marina in atto potete dare un’occhiata al documentario di Robert Murray “Al capolinea”, pubblicato in dvd+libro da Feltrinelli Real cinema e Slow Food).
Dunque, a distanza di due secoli e mezzo, il reverendo Malthus finirà per avere ragione? Mica tanto. Perché, a dirla tutta, il vero problema non è la mancanza di cibo. Se è vero che, già oggi, 925 milioni di persone soffrono la fame, un miliardo e 328 milioni soffrono di iper-nutrizione. La fame uccide 36 milioni di persone l’anno (5,6 milioni dei quali bambini sotto i 5 anni), ma le malattie connesse a obesità e dintorni non sono da meno: 17,5 milioni di morti l’anno per malattie cardiovascolari, 7,9 per tumori, 3,8 per diabete.
In termini di calorie, molti esperti concordano nel dire che, già oggi, se ne producono abbastanza per sfamare non 7, ma 12 miliardi di persone. Come mai non finiscano nelle bocche giuste, è un problema complesso. Ma uno dei tanti motivi è, ad esempio, che il 40% del mais mondiale e oltre il 90% della soia non finiscono in stomaci umani, ma in quelli di polli, maiali e manzi. Perché a noi la carne piace e non ci vogliamo rinunciare. Eppure qualche rinuncia non dovrebbe essere difficile se, come ha calcolato Caroline Davies dell’Observer, un inglese, nell’arco della sua vita, mangia in media l’equivalente di 8 manzi, 36 pecore, 36 maiali e 550 tra polli, galline e affini. E in Italia? La Fao dice che ne mangiamo 92 chili l’anno a testa: più di quattro volte le quantità consigliate. Per produrre un chilo di carne di manzo si emettono 36,4 chili di Co2 (il principale dei gas serra responsabili dei cambiamenti climatici: tant'è che secondo il rapporto Fao "Livestock's long shadow" l'allevamento produrrebbe il 18% del totale dei gas serra, cioè più del sistema dei dei trasporti) e si consumano 15.500 litri d’acqua (contro i 900 necessari per un chilo di mais).
Perciò, se un mondo di 7 miliardi di persone vi risulta indigesto, non chiedete la ricetta al reverendo Malthus. Piuttosto, cambiate alla svelta il vostro menù. Danica May Camacho vi ringrazierà.

(1) The State of the World’s Land and Water Resources for Food and Agriculture (SOLAW), 2011
(2) Worm, et al. (2006) "Impacts of Biodiversity Loss on Ocean Ecosystem Services". Science, 314 (5800): 787-790.